venerdì 31 ottobre 2014

PER IL GRAN MUFTI’ IN SIRIA ASSAD MERITEREBBE IL NOBEL PER LA PACE

Terza parte del reportage di Elena Barlozzari, volontaria della Onlus Sol.id e giornalista, dalla Siria. L’appuntamento, questa volta, è con la massima autorità religiosa siriana.
Alikbharia, Sana e almeno altre quattro emittenti televisive di cui non riesco a distinguere i nomi sono asserragliate nel salotto del Muftì con la loro attrezzatura ingombrante. Dividiamo così, a fatica, lo spazio dove veniamo ricevuti. Tappeti, lampadari, divani foderati con stoffa pregiata e cristalleria. Tutti attenti a non perdere nemmeno una delle parole che la massima autorità religiosa siriana pronuncia, accompagnandole con gesti pieni di garbo. Ahmad Badreddin Hassou ha 65 anni, dal 2005 è il Gran Muftì di Siria. E’ un uomo alto ha il viso sorridente incorniciato dalla barba scura e il turbante candido. La sua carica è apicale: il Gran Muftì è la massima autorità religiosa dei sunniti di Siria. Il suo atteggiamento ospitale e il modo placido di parlare ci mettono, per quanto possibile, a nostro agio.
Il Muftì è un uomo di pace. Lo dimostra la tenerezza, senza smancerie, che esprime con la parola. Quella stessa tenerezza con cui – più di un anno fa – rivolse a papa Francesco un invito. L’invito a venire in Siria. Il Paese in cui le religioni stanno dando al mondo una lezione di tolleranza senza precedenti, contribuendo insieme alla ricostruzione. “Gli uomini di religione, sin dal primo momento, si sono soffermati insieme alla gente per bloccare questa guerra. A Tartus ci sono chiese e moschee che accolgono i profughi interni, senza distinzioni di fede, e questo ha rafforzato il legame fra i siriani”, racconta. 

Il Muftì è un uomo di pace. Anche Obama, per la commissione di Oslo che nel 2009 gli assegnò il premio Nobel per la pace a meno di un anno dall’insediamento alla Casa Bianca, lo era. Quando l’America elesse il suo primo presidente afroamericano, il Muftì predicava. Se lo ricorda bene. “Saluto il popolo americano che ha nominato un presidente africano, con un padre musulmano”, ci racconta d’aver detto. “Gli americani lo hanno votato senza guardare la religione, il fatto che fosse africano nero e credendo che volesse la pace – prosegue il Muftì – quel giorno augurai ad Obama di essere all’altezza delle aspettative del suo popolo”. Un attimo di silenzio, poi: “Mi rattrista ma così non è stato”. Il Muftì adesso esordisce, spiazzandoci. “Se il premio Nobel fosse davvero un premio per la pace andrebbe dato ad Assad, perché ha rifiutato di partecipare alla guerra in Iraq, ha fatto tornare la pace in Libano e da tre anni e mezzo combatte il terrorismo insieme al suo popolo. E se la coalizione internazionale concordasse con noi le operazioni militari in cinque mesi garantiremmo la caduta definitiva del terrorismo non solo in Siria ma in tutta l’Europa”.
Il Muftì non ha dubbi. Ha perdonato gli assassini di suo figlio, freddato per vendetta ad Aleppo, ma il suo dito punta senza indulgenza dritto all’America. Quella di Barack Obama e di George Bush. A partire dalla guerra in Afghanistan, fino a quella in Siria. “La guerra non è iniziata tre anni fa, ma il giorno in cui è cominciata in Afghanistan. Hanno usato il popolo musulmano afghano come vittima in una lotta non per l’uomo ma per le risorse; i talebani sono creature degli americani, hanno imparato a combattere e uccidere nelle loro scuole. Bin Laden è stato addestrato negli Usa e la sua famiglia è la più vicina agli Stati Uniti d’America”.
Dopo l’Afghanistan “la guerra si è spostata in Libano, suddiviso per otto anni in quattro stati: maronita, sunnita, sciita, druso. Noi siamo entrati in Libano, abbiamo annullato questi quattro stati e riportato l’unità”. Anche la guerra in Iraq, racconta il Muftì, “l’abbiamo voluta spegnere con tutte le forze a disposizione, quando l’America ci ha chiesto di partecipare, il nostro presidente ha rifiutato”. In quell’occasione, ricorda, il presidente Assad disse: “Le guerre non liberano i popoli, ciò che li libera è la pace e la prosperità”. Tre, forse cinque minuti d’agonia, per l’ex raìs. Saddam Hussein è stato impiccato nel 2006, sono passati otto anni da quel giorno e “guardate cos’è l’Iraq oggi, una polveriera”. Il Muftì è un uomo di pace, oggi costretto a far i conti con la guerra.

mercoledì 29 ottobre 2014

2Meeting Politiche Mediterraneo, esponenti Siria e Libano: "Occidente sostiene Isis"

L'ex ministro della comunicazione del Governo siriano di Assad, Mahdi Dahlala e il Deputato di Hezbollah, Ali Fayad, si sono soffermati sul ruolo assunto da alcuni stati arabi come l'Arabia Saudita e il Qatar sulla costituzione dello stato dell'Isis

Nelle giornate di venerdì 24 e sabato 25 ottobre si è svolto a Cagliari il secondo Meeting internazionale delle politiche del Mediterraneo, un importante appuntamento promosso dal Centro Studi arabo italiano Assadakah alla presenza di alcuni esponenti del mondo arabo: l'ex ministro della comunicazione del Governo siriano di Assad Mahdi Dahlala e il Deputato di Hezbollah Ali Fayad, si sono soffermati sul ruolo assunto da alcuni stati arabi come l'Arabia Saudita e il Qatar sulla costituzione dello stato dell'Isis.
 
 Durante la conferenza si è evidenziata anche la responsabilità della Turchia nell’addestramento dei terroristi dell’Isis, favorito dal sostegno militare ed economico dell'Occidente e in primo luogo degli Stati Uniti, dell'Inghilterra e della Francia.
 
Il convegno, moderato da Raimondo Schiavone, segretario generale del Centro Studi italo arabo e Alessandro Aramu, direttore di Spondasud, rivista di geopolitica e studi internazionali, è stato occasione per rimarcare l’importante ruolo assunto dal  Mediterraneo negli scenari di guerra che coinvolgono l’Iraq, la Siria e il Libano.

lunedì 27 ottobre 2014

Putin: L'Occidente sostiene il terrorismo e contribuisce all’escalation dei conflitti nel mondo

Sochi, Il Presidente russo Vladimir Putin ha detto che l'Occidente sostiene il terrorismo e contribuisce all’escalation di conflitti nel mondo, sottolineando che "i partner occidentali" pagano un prezzo elevato per i risultati delle loro politiche.

Il Presidente Putin ha detto in un discorso oggi al forum Valdai a Sochi che i paesi occidentali ripetono gli stessi errori del passato, quando avevano finanziato i movimenti islamici estremisti per affrontare l'Unione Sovietica, che ha portato l'emersione di organizzazioni come i talebani e al-Qaeda.

Putin ha sottolineato che l'Occidente sostiene in Siria delle organizzazioni che sono sulla lista dei terroristi, facendo notare che la Russia ha messo in guardia ripetutamente, contro l’intervento militare unilaterale, la violazione della sovranità dei stati, e contro il sostegno ai terroristi che combattono contro il governo siriano.

Putin ha detto che gli Stati Uniti e l'Occidente hanno iniziato in Siria con il supporto a terroristi e mercenari provenienti da tutti i paesi, questi terroristi in seguito divennero organizzati in gruppi armati.

"L'aumento controllo di un solo polo nel mondo non può istituire né la sicurezza o la stabilità, e questo sistema squilibrato ha mostrato una mancanza di efficacia nella lotta contro le crisi globali ", Putin ha aggiunto.

Secondo Putin, il dettame unilaterale e l’imposizione dei propri modelli portano il risultato opposto. "Al posto della risoluzione dei conflitti c’è la loro escalation. Al posto degli Stati sovrani, stabili c’è uno spazio crescente di caos", ha detto il leader russo.

L’intervento dell’Occidente ha messo la Libia sull'orlo della disintegrazione, il Paese è diventato un campo di addestramento per terroristi, ha detto il Presidente russo.

L’Occidente se non sosteneva direttamente, chiudeva un occhio all'invasione dei terroristi internazionali in Russia e in Asia centrale, ha detto il Presidente Vladimir Putin, parlando alla conferenza del Club Internazionale di discussione "Valdai".

venerdì 24 ottobre 2014

Churkin: Non c'è da stupirsi per le notizie di armi americani finiti in mano all'IS, è la prova dell'indispensabile coordinamento con il governo siriano *

New York, SANA - delegato permanente della Federazione russa alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin ha sottolineato che le relazioni che l'organizzazione terroristica dello Stato islamico in Iraq e in Siria (ISIS) è entrata in possesso di armi americane non sono improbabili, dicendo questo dimostra la necessità di un coordinamento con il governo siriano per quanto riguarda la lotta contro ISIS.
In un'intervista con l'agenzia di stampa russa ITAR TASS il Martedì, Churkin ha dichiarato: "E' necessario coordinare con il governo siriano in modo più accurato, e agire in conformità con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite".
In precedenza, il comando militare statunitense per il Medio Oriente e l'Asia Centrale (CENTCOM) ha annunciato che aerei da guerra statunitensi hanno lanciato armi, munizioni e forniture mediche alle unità di difesa popolari che difendono la città di Ayn al-Arab (Kobane), nel nord della Siria, contro gli assalti ISIS per controllare la città.
Più tardi, canali televisivi statunitensi hanno mandato in onda un video in cui un terrorista che s’identifica come un membro dell’ISIS, mentre esaminava un carico con una paracadute fissata ad esso. Il carico era pieno di vario tipo di munizioni, comprese granate e mine.
Da parte sua, il portavoce del Pentagono contrammiraglio John Kirby ha detto che il video non può essere verificata, notando che le armi mostrati nel video erano il tipi di forniture che sono stati lanciati, "Quindi non è esclusa la possibilità che è stato uno dei lanci”.

mercoledì 22 ottobre 2014

Lavrov: La ‪‎Russia‬ attende chiarimenti da Washington su come gli ‪‎USA‬ combattono ‪IS‬IS in Siria, in parallelo forniscono sostegno militare all'opposizione

Mosca, ministro degli Esteri Russo Sergey Lavrov ha detto Lunedì che l'alleanza stabilita dagli Stati Uniti per colpire l'organizzazione terroristica ISIS doveva essere fatta sulla base della carta Onu e delle risoluzioni del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
In una conferenza tenuta in un’università, Lavrov ha sottolineato che la Russia non prenderà parte alla alleanza internazionale anti ISIS guidata dagli Stati Uniti perché la Russia è convinta che gli sforzi di affrontare il terrorismo dovrebbe essere costruiti su una solida base di diritto internazionale con il patrocinio del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che si assume la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza nel mondo.
Egli ha aggiunto: "La Russia attende chiarimenti da Washington su come gli Stati Uniti stanno combattendo ISIS nei territori siriani, e in parallelo forniscono sostegno militare all'opposizione il cui obiettivo è rovesciare il regime del paese",
Secondo il capo della diplomazia: Colpire l’ISIS in Siria senza raggiungere un accordo con il governo siriano a questo proposito è una violazione dei principi delle Nazioni Unite.
Lavrov ha chiarito: "In parallelo con gli attacchi aerei in territori siriani, l'opposizione siriana, che combatte al fianco di ISIS sta guadagnando sostegno militare internazionale. Inoltre, gli stati occidentali considerano questa opposizione moderata, "
Egli ha continuato: Gli stati occidentali non vogliono aiutare nel esercitare pressione sulle forze estremiste in Siria, e respingono allo stesso tempo qualsiasi cooperazione con lo Stato siriana, "che ha permesso all’ISIS per controllare molte zone in Iraq e Siria. "
"Le forze estremiste potenziano la loro forza con le armi moderne fornite dall'Occidente, quindi invitiamo al coordinamento e l'unificazione degli sforzi per la lotta al terrorismo internazionale".
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Ultimamente il comportamento degli USA sta diventando sempre più paradossale. Da un lato, Washington usa tutte le sue risorse per isolare la Russia, ma allo stesso tempo invita Mosca a cooperare per risolvere problemi che esistono in Iraq e Siria, per lottare contro lo “Stato islamico”. D’altra parte, ha sottolineato Sergej Lavrov, la politica del genere è tipica degli americani.
Questa cosa, questo approccio consumistico nelle relazioni internazionali, è tipico degli americani. Credono di avere il diritto di punire interi paesi, se questi, in un problema o nell’altro, si comportano non come vorrebbe Washington. Ma è agli stessi paesi che chiedono cooperazione in problemi che hanno un’importanza vitale per gli USA e i loro alleati. È un approccio sbagliato e io ne ho parlato con John Kerry. Ho l’impressione che egli capisca l’inconsistenza di tali tentativi, almeno per quel che riguarda le relazioni tra USA e Russia.

lunedì 20 ottobre 2014

DONNE DI DAMASCO, COMBATTENTI, GIORNALISTE, MADRI E “MINISTRE”


La seconda parte del reportage dalla Siria di Futuro Quotidiano. Elena Barlozzari, giornalista e volontaria di Sol.id, racconta qui la quotidianità delle donne siriane alle prese con il lungo conflitto. Donne che, in quella società, sono anch’esse protagoniste in politica, nelle professioni e addirittura al fronte.
Per raggiungere la moschea degli Ommayyadi bisogna attraversare il trambusto del suq. Al-Hamidiyya è il principale e affollato mercato coperto di Damasco. Lampadari, gioielli, noci, dolciumi, abbigliamento. Piccoli negozi capaci di esaudire i desideri delle donne che esprimono la variopinta femminilità damascena. Alcune col capo coperto si affrettano al richiamo dal muezzim, altre sorseggiano succo di melograno e acquistano pantaloncini di jeans. L’abito, come insegna un proverbio nostrano, non fa il monaco. Così dovrò aspettare ancora qualche giorno per scoprire quale ruolo si nasconde dietro i diversi modi di vestire.

Kinda Al Shamat è la prima damascena con cui ho il piacere di parlare. Fedelissima di Assad. Indossa il chador ed è uno dei ministri della Repubblica Araba Siriana. Il suo ministero e quello degli Affari Sociali e il suo incarico è molto delicato. Le politiche sociali, in un paese sotto attacco da oltre tre anni, sono indubbiamente nevralgiche. Da lei scopriamo che esistono donne cadute in combattimento e che, alla stregua degli uomini, la cultura siriana le considera martiri. La prima si chiamava Meirvat Said. Caduta un anno fa con addosso l’uniforme della Guardia Nazionale repubblicana siriana. E non importa se avrebbe scelto i pantaloncini di jeans al posto del velo. Come Meirvat “ci sono molte ragazze tra i diciannove e i venti anni che hanno appoggiato il governo di Assad e preso parte a combattimenti vivi” – spiega il ministro. La mappa delle combattenti non si ferma a quelle che imbracciano il kalashnikov AK 47. Ci sono quelle che spalano le macerie. Quelle che attendono il ritorno dei loro cari dal fronte, da vivi o da martiri. “Se avessi fatto altri figli avrei mandato anche loro a difendere la patria”, ha detto al ministro una madre siriana che ha perso cinque figli.

Kinda Al Shamat non è la sola portavoce del popolo femminile che abbiamo avuto l’avventura d’incontrare. Qualche giorno più tardi, poche ore prima di lasciare la Capitale per raggiungere Tartus, la giornalista Rana Esmaeel ci ha guidati negli studi di una delle più note emittenti televisive siriane: Alikhbariya. Rana non indossa il velo e qui a Damasco è molto conosciuta. Due anni fa la sua redazione è stata il bersaglio di un attentato esplosivo. Ci mostra le immagini catturate da una telecamera a circuito chiuso. Due guerriglieri del Nusra Front, formazione terroristica che ancora oggi semina terrore nei sobborghi di Damasco, piazzano due ordigni esplosivi dopo aver accuratamente ripulito gli studi di denaro e attrezzature. Quell’attentato costerà la vita al personale di sicurezza e ad alcuni operatori. Ma il prezzo che Alikhbariya ha pagato per i suoi servizi di denuncia al terrorismo fondamentalista è più pesante. Anche stavolta, nell’elenco di nomi dei reporter uccisi in questi anni, c’è quello di una donna di ventiquattro anni. Yara Abbas era la corrispondente da Homs. La città, bombardata lo scorso settembre dalla coalizione anti-Isis, è tristemente nota in seguito al doppio attentato che ha recentemente colpito il quartiere alawita di Akrama facendo strage di bambini. Chiediamo a Rana se ha paura a continuare nel suo lavoro. “Non posso fare altrimenti, sono una siriana” – risponde.

Cosi come Rana, anche Eva Sad non ha mai avuto dubbi. Eva, ventenne, è una profuga interna di Damasco. Da più di un anno vive nella cittadina Sheik Saed, in provincia di Tartus, dove hanno trovato protezione molti sfollati provenienti dalla Capitale e da Aleppo. “Hanno saccheggiato e distrutto la mia casa ma non ho mai pensato di lasciare la Siria – ragiona con semplicità Eva – chi ama il proprio Paese non lo lascia. Perché dovrei andar via di qui?”. Soldatesse, martiri, mogli, madri, infermiere, maestre, profughe interne, giornaliste. In una parola ‘combattenti’. Queste sono le donne siriane in tempo guerra.


giovedì 16 ottobre 2014

Ultime giornate a Damasco per Solidarité Identités. I volontari europei raggiungono Tartus

È tempo di andare per i volontari di Solidarité Identités che nottetempo hanno raggiunto la città costiera di Tartus. Si apre così la seconda fase della Solidarity Mission 2014, volta a distribuire concretamente il carico di aiuti umanitari raccolti e giunti a Latakia via mare.

L'esperienza damascena, ricca di appuntamenti e attività, si è conclusa con un'ultima tranche di tre incontri.
Il ministro degli Affari Esteri, Ayman Susan. Il ministro ha aperto il suo intervento augurando ai volontari di Solidarité Identités il "benvenuto nella Siria della civiltà e a Damasco"."Noi siamo i proprietari di questa storia, di questa terra e di questa cultura, la nostra identità è ben salda e più radicata di quella dei cowboys che tentano di colonizzarci".


Il ministro della Salute, Nezar Uehbe Yazgi. Il ministro ha illustrato il dossier della crisi del settore della sanità pubblica. I dati ufficiali, relativi all'ultimo triennio, dimostrano come la situazione sanitaria sia drasticamente precipitata. "Nonostante i danneggiamenti ai nostri ospedali e ai mezzi di soccorso, riusciamo ancora a far fronte alle esigenze della popolazione anche nelle zone più insicure del paese" - ha dichiarato Yazgi.


Il ministro degli Affari Religiosi, Walid Al Muhalem. Il ministro ha dichiarato di esser "pronto a incontrare le istituzioni vaticane e vorrei che siate i portavoce di questo mio desiderio". Ribadendo quanto espresso già dal Gran Muftì, Al Muhalem ha spiegato che "in Siria il concetto di minoranza religiosa o etnica non esiste, il popolo siriano è uno solo".

Nella mattinata di lunedì i volontari sono stati ospiti dell'approfondimento condotto dalla giornalista Rana Esmaeel, in onda su Alikhbariya tv.

mercoledì 15 ottobre 2014

A DAMASCO LA GENTE PASSEGGIA TRA I TUONI DEL MORTAIO

Nei giorni dell’allarme lanciato dal coordinatore antiterrorismo Ue, Gilles De Kerchove, secondo cui l’Europa potrebbe trovarsi a dover fronteggiare l’imminente esodo dei jihadisti da Siria e Iraq, i volontari di Solidaritè Identitès, accompagnati dai membri della Comunità siriana in Italia, sono arrivati a Damasco per portare aiuti umanitari alla popolazione. Elena Barlozzari, che fa parte della missione, racconterà su Futuro Quotidiano che cosa sta accadendo in Siria ma anche la quotidianità che si respira tra le strade di questa regione, martoriata da una guerra civile che dura da due anni, e gli aspetti culturali e sociali meno tracciati sui media.
“Cham” in arabo significa “terra di Levante” e noi la approcciamo per la via del Libano, da Beirut, debitamente scortati. Una via insidiosa dove, in seguito allo sconfinamento della guerra terroristica, si sono verificati diversi rapimenti. Ci vorranno alcune ore a districare il convoglio da un traffico incredibile, del quale ci libereremo soltanto a ridosso del confine est, dopo aver oltrepassato decine di check-point e le due catene montuose che fendono la regione da parte a parte. La prima città siriana che incontriamo è la frontaliera Jedeh Yabus, piccolissima e buissima. A quest’ora, le 20 locali circa, lungo la strada ci siamo soltanto noi. L’autista ha fretta di arrivare, guida veloce fino al momento del pit stop. E’ prevista una sosta rapida, giusto il tempo di cambiare mezzi e scorta. Prima però veniamo invitati dal personale di sicurezza a rifocillarci con il caffè. Quello che si beve da queste parti è aromatizzato al cardamomo e lascia sul fondo almeno un dito di pasta scura. Il rito di benvenuto avviene nella cosiddetta Sala d’onore, dalla quale sono passate illustri personalità e capi di stato. Anche Putin e gli ispettori delle Nazioni Unite.
Qui vedremo per la prima volta Assad. Raffigurato all’ingresso e poi più volte in ognuna delle stanze che ci troviamo ad attraversare. Ci abitueremo solo in seguito alla onnipresenza del leader, non c’è angolo di strada o vetrina damascena che ne sia sprovvista. Così inizia il nostro viaggio in Siria, a luci spente, perché qui si raziona tutto. In particolar modo la corrente elettrica, dal 30 settembre scorso, giorno dell’attentato al gasdotto principale che serve la centrale elettrica di Damasco, la luce arriva col contagocce. È ora di rimontare e raggiungere la Capitale. L’impatto è visivo e uditivo. Il rumore sordo dei colpi di mortaio incornicia il monte. Il monte Kassiun, dove l’esercito siriano difende la città con la sua massiccia artiglieria, osserva dall’alto il nostro convoglio che si avventura nei quartieri nuovi. Anche qui campeggiano gigantografie del presidente Assad tra check point, fortini, sacchi di sabbia e mezzi militari. In questa zona, la più benestante, il controllo delle strade è prevalentemente affidato alle milizie volontarie. Visi giovani, barbuti. Indossano la mimetica e per difendere la città non vengono pagati. Il loro servizio è assolutamente volontario e la loro presenza, capillare, permette ai damasceni di andare in giro tranquilli.
Frequentare il suq Al Hamidiyya, l’università e fare compere al Four Season, uno degli esempi più lampanti di come i costumi siriani siano liberi. In questo grande centro commerciale si possono acquistare griffe occidentali, abbigliamento all’ultima moda destinato a vestire donne come le nostre. Donne che definiremmo “emancipate”. Così quando finalmente scendiamo dal furgone, nei pressi della città vecchia, i tuoni del mortaio si confondono con la gente che passeggia e con quella che affolla il piccolo negozio dove gustiamo i primi falafel siriani. Squisiti.

lunedì 13 ottobre 2014

PRIMI INCONTRI AL VERTICE PER SOL.ID. La delegazione italiana è stata ricevuta dalle istituzioni siriane.



DAMASCO 11/10/2014 - È stata fitta di appuntamenti la prima giornata di Solidarité Identités a Damasco. Il convoglio dei volontari europei, giunti ieri nella capitale siriana attraverso il confine libanese, è stato accolto dalle autorità locali con grande calore. Così prima della distribuzione materiale degli aiuti, che avverrà tra qualche giorno a Tartus con il partenariato dell'associazione Al Wafa, gli attivisti europei e i rappresentanti della Comunità siriana in Italia sono stati ricevuti da alcune illustri personalità della società civile.


Nella prima mattinata hanno incontrato il ministro delle politiche sociali, Kinda Al Shamath. Il ministro ha spiegato come il maggior costo dall'inizio delle ostilità sia stato pagato dalle classi meno abbienti e, per questo, ha ringraziato la delegazione del contributo materiale e il sostegno morale. Il ministro ha riservato un ringraziamento particolare alle volontarie presenti "perché si dice che le donne non partecipano alla guerra ma la vostra presenza qui dimostra l'esatto contrario".


Più tardi, in una coinvolgente conferenza stampa, la delegazione italo-siriana ha avuto modo di confrontarsi con Fehmi Hasan, vice presidente del Parlamento siriano. "La Siria sta per vincere il terrorismo - ha dichiarato perentoriamente Hasan - e la ricostruzione avverrà grazie alle mani dei suoi figli e all'aiuto di stati, comunità e associazioni che hanno appoggiato il Paese durante il conflitto".


L'ultimo, non certo per lustro, ad aver accolto la delegazione italo-siriana è stato il Gran Muftì, la più alta carica religiosa in Siria. Durante l'incontro, Il Muftì, che due anni fa ha subito la perdita del figlio ventenne per mano dei terroristi, ha trasmesso ai presenti un messaggio di pace universale. "Quando hanno arrestato gli assassini di mio figlio io sono andato a visitarli - racconta il Muftì - appena mi hanno visto si sono impauriti, ma io li ho abbracciati, poi ho pregato Dio per la forza del perdono ricevuta".
Nelle prossime ore seguiranno aggiornamenti.

Delegazione italiana di Sol.Id. a Damasco: parte la Missione solidale – Siria 2014


DAMASCO 10/10/14: Questa mattina la delegazione italiana di Solidarité identités è giunta a Damasco, in Siria. Al fianco dell’associazione di volontariato europeo anche i rappresentanti della Comunità siriana in Italia.

La squadra di volontari è in loco per concretizzare il progetto “Missione solidale – Siria 2014”. I materiali acquistati grazie al sostegno dei tanti donatori che hanno partecipato alla raccolta fondi europea verranno consegnati all’Associazione Al-Wafa di Tartous. Nella lunga lista degli aiuti umanitari troviamo: due ambulanze attrezzate, due defibrillatori, un lettino medico, tre sedie a rotelle, due girelli per la deambulazione, una coppia di stampelle ed oltre un quintale di materiale medico, tra farmaci ed occorrente per le medicazioni. Il notevole carico diventa ancor più rilevante se consideriamo come in territorio siriano industrie e case farmaceutiche sono andate distrutte.
Non mancheranno in questi giorni incontri con personalità istituzionali e governative, e con rappresentanti delle varie confessioni religiose.
Con questa missione Sol.Id. intende mostrare la propria la vicinanza al Popolo siriano che, se si traccia un bilancio dopo tre anni e mezzo dall’inizio della guerra terroristica, ha sofferto più di tutti le sorti del conflitto. La delegazione avrà quindi modo di portare il sostegno di migliaia di uomini liberi, cittadini e attivisti europei alla Siria ed al suo Popolo.

venerdì 10 ottobre 2014

Carter: «Abbiamo permesso all’Isis di armarsi e finanziarsi»

L’ex Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter ha fortemente criticato la politica seguita dalla attuale inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, nell’affrontare l’Isis che opera in Iraq e Siria.
«In primis, abbiamo aspettato troppo a lungo. Abbiamo permesso all’Isis di creare le sue entrate finanziarie e gli armamenti mentre era ancora in Siria. Più tardi, quando è andato in Iraq, i sunniti non si sono opposti e circa un terzo del paese è stato abbandonato», ha spiegato Carter.
A proposito dei bombardamenti sull’Isis da parte  della coalizione guidata dagli Stati Uniti, nei territori iracheni e siriani, il leader democratico ha bollato queste misure della Casa Bianca come irregolari e mal programmate nei conflitti che affrontano Siria e Iraq.
A questo proposito, facendo riferimento al ritardo delle autorità americane nel reagire contro i terroristi dell’isis quando ancora operavano in Siria, ha sostenuto che questo ritardo ha permesso ai terroristi di rafforzare le loro finanze e gli armamenti.
 La politica estera di Obama sul Medio Oriente ha provocato dure critiche da parte delle autorità in un certo numero di paesi nel mondo.
Gli Stati Uniti d’America hanno annunciato il 23 settembre scorso la formazione di una coalizione internazionale che dovrebbe mirare a frenare l’Isis in Iraq e Siria.
Tuttavia, ci sono seri dubbi circa il vero scopo di questo intervento. Washington e alcuni dei suoi alleati sono accusati di aver giocato un ruolo chiave nella formazione delle bande Takfire.
Con miliardi di dollari e quasi 15 mila mercenari, l’Isis conduce vari atti criminali sia in Siria che Iraq.

mercoledì 8 ottobre 2014

IL REGIME USA, DEL NOBEL PER LA PACE OBAMA, CREA UN NUOVO ESERCITO TERRORISTA A REYHANLI, TURCHIA


Il giornalista americano David Ignatius ha scritto un articolo per il Washington Post in cui afferma che gli USA stanno tentando di unire i residuati del FSA e affiliati gruppi di mercenari terroristi nella città turca di Reyhanli, che ora è stata trasformata in un luogo di ritrovo per jihadisti-terroristi e mercenari internazionali di varie bande e denominazioni.
Nel suo articolo sul Washington Post (W.P.), dal titolo "Unificare l'opposizione moderata è la più grande sfida in Siria", David Ignatius (D.I.) ha scritto che nel sud della Turchia ha incontrato il capo di una delle bande armate, Hamza al-Shamali , boss di una tra le più numerose organizzazioni terroristiche 'moderate', la 'Harakat Hazm'.
David Ignatius ha dichiarato che al-Shamali "comanda circa 4.200 combattenti giá addestrati", e ha riferito che per questo capo banda "il problema principale e immediato non sia quello di sconfiggere lo Stato islamico". E questo lo sapevamo anche noi, senza la testimonianza del cannibale di Obama.
Il vero problema per al-Shamali (come per tutti i capi terroristi) è quello di coordinare i membri delle varie bande di terroristi e mercenari con il FSA, per cercare di creare una nuova forza che possa rimpiazzare il caos esistente tra i gruppi terroristici ed i battaglioni armati di mercenari che combattono l'uno contro l'altro: in poche parole, dopo avere "bruciato" quelle precedenti, stanno ora cercando di istituire una nuova organizzazione terroristica piú omogenea e presentabile.
Alcuni amici potrebbero sostenere che W.P. e D.I. sono fonti della propaganda del regime USA. Sì, è vero, ma il 'campo militare' di Reyhanli, gestito dell'intelligence militare americano in Turchia, è una realtà. Il fatto che questa realtà sia confermata anche da "propagandisti" del W.P. è solo una conferma della complicità dell'amministrazione americana con il terrorismo (con la partecipazione della Turchia), la quale (tale conferma) provenendo da una fonte non sospetta di essere pro-Assad, é meno diffamabile agli occhi del pubblico occidentale.
Perché, ricordate sempre...il diavolo fa le pentole...ma non i coperchi...
La guerra che stanno inscenando gli USA & alleati contro Daash-SIL è solo 'fumo negli occhi', perché l'obiettivo primario di USA & alleati, Israele in testa, è sempre quello di eliminare il presidente Bashar al-Assad, e l'Esercito Arabo Siriano, per poter continuare con il progetto di destabilizzazione e fragmentazione dell'area mediorientale, per un maggiore isolamento al fine di poter attaccare l'Iran, la Russia e l'Eurasia...se poi aggiungiamo l'aspirazione al controllo totale ed esclusivo delle risorse energetiche locali, il quadro non potrebbe essere piú chiaro.
Presto cadranno tutte le maschere.

lunedì 6 ottobre 2014

Siria: l’Avventurismo di Ankara Costituisce un’Aggressione, l’Onu Si Assuma la Sua Responsabilità

Ministero degli Esteri Siriano: “L’avventurismo di Ankara rappresenta una minaccia per la sicurezza e la pace regionale e internazionale, il Consiglio di Sicurezza e la comunità internazionale devono agire per porre fine a tutto ció”.

Ministero degli Esteri e degli Espatriati Siriano.

Il Ministero degli Esteri e degli Espatriati ha detto che: “Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha annunciato ieri che la priorità della sua politica verso la Siria è di cambiare il regime siriano, e in questo contesto ha unito il parlamento turco per ottenere il consenso per condurre operazioni militari all’interno della Siria e  rendere la Turchia una base per l’aggressione contro di essa, con il pretesto della lotta contro il terrorismo e la salvaguardia della sicurezza nazionale turca”.
Il ministero ha aggiunto, in due lettere identiche indirizzate al Segretario generale delle Nazioni Unite e al Presidente del Consiglio di Sicurezza, di cui l’agenzia siriana di stampa SANA ha ricevuto una coppia, che: “L’approccio annunciato dal governo turco costituisce una violazione flagrante della Carta delle Nazioni Unite, che prevede il rispetto della sovranità nazionale e la non-interferenza negli affari interni, e che esso costituisce un chiaro atto di aggressione contro uno stato sovrano e membro fondatore dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, e quindi la comunità internazionale, e in particolare il Consiglio di Sicurezza, devono agire per porre fine all’avventurismo della leadership turca, che rappresenta una minaccia per la sicurezza e la pace regionale e internazionale”.
 Il ministero ha continuato dicendo che: “Il governo turco, sin dall’inizio dell’attuale crisi in Siria, non ha mai smesso di fare tutto ciò che fosse possibile per infiammare la situazione e colpire la stabilità e il modello di convivenza di cui la Siria gode,” notando che, “Sarebbe stato più opportuno per il governo turco, secondo le regole del buon vicinato tra gli Stati e le relazioni storiche tra i popoli di Turchia e Siria, stendere una mano verso la Siria per aiutarla a superare la crisi, ma questo governo, che si ispira alla stessa ideologia estremista e mentalità religiosa delle organizzazioni terroristiche armate, ha costituito invece una delle principali basi di supporto a queste stesse organizzazioni”.
 Il ministero ha detto che: “La leadership turca ha fornito tutte le forme di sostegno politico, militare e supporto logistico alle organizzazioni terroristiche armate, oltre ad avere offerto il rifugio, il finanziamento, la formazione, e l’agevolazione per il movimento e l’ingresso di terroristi provenienti da 83 paesi verso la Siria, cosa che ha reso la Turchia la base principale del terrorismo che colpisce la Siria e quindi, il governo turco è il primo responsabile per ogni goccia di sangue versata in Siria a causa dei crimini delle organizzazioni terroristiche armate”.
Il ministero ha chiarito che: “Il governo turco non si è fermato all’uccisione dei siriani e alla distruzione delle loro città e villaggi, ma ha intenzionalmente e sistematicamente colpito il processo dello sviluppo in Siria e le conquiste dei siriani realizzate nei corso degli anni con sangue e sudore, ed ha compiuto questi crimini attraverso lo smantellamento, il saccheggio e il furto di fabbriche e aziende Siriane, in pieno coordinamento con alcune organizzazioni terroristiche armate, dove l’acquisto ed il commercio del petrolio siriano rubato da queste organizzazioni terroristiche, come l’ISIS (Daesh-ISIL), rappresenta una delle prove più evidenti del coinvolgimento tra la leadership turca e queste bande e organizzazioni takfiriste”.
Il Ministero degli Esteri e degli Espatriati ha anche affermato che: “Il governo turco, il quale ha fornito e continua a fornire tutto il sostegno alle organizzazioni terroristiche armate, in particolare alle organizzazioni terroristiche dello stato islamico-Daesh ed al fronte al-Nusra, in flagrante violazione delle risoluzioni 2170 e 2178 del Consiglio di Sicurezza, non potrá mai pretendere di essere partner nella ‘lotta contro il terrorismo’, perché esso (il governo turco) è il responsabile primario della crescente attività terroristica, attraverso legami confermati con le organizzazioni terroristiche, e la messa in scena della detenzione e rilascio dei membri del consolato turco a Mosul è la più grande prova del profondo rapporto di collaborazione tra il governo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo AKP e le bande Daesh”.
Il ministero ha sottolineato che: “Il popolo siriano, che con fermezza e sacrifici affronta ogni giorno uccisioni e distruzioni, che aveva già deciso per il suo futuro con le scelte espresse attraverso elezioni presidenziali, non permetterà né al governo turco né a qualsiasi altro governo di intromettersi nei suoi affari interni, ed è oggi più che mai determinato ad affrontare e respingere quei progetti che colpiscano l’unità e la sicurezza della Siria, per proteggere la sua sovranità e decisionalitá nazionale indipendente”.
Il ministero ha concluso esortando la comunità internazionale ed il Consiglio di Sicurezza a prendere una posizione forte e responsabile per fermare l’approccio distruttivo della Turchia ed il suo sostegno illimitato alle reti terroristiche armate, obbligandola  a rispettare le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e ad astenersi dall’interferire negli affari interni della Repubblica Araba Siriana.

venerdì 3 ottobre 2014

Presentazione della Missione Solidale in Siria 2014

Venerdi 3 ottobre alle ore 18.30 presso Foro 753 importante appuntamento per la presentazione della Missione Solid in Siria. I volontari europei sono pronti!

mercoledì 1 ottobre 2014

Il presidente Bashar Al-Assad incontra Ali Shamkhani, segretario generale del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale della Repubblica islamica dell'Iran

"La lotta al terrorismo non può essere nelle mani di chi ha contribuito alla nascita di organizzazioni terroristiche e le ha supportate logisticamente e finanziariamente, e diffuso il terrorismo nel mondo."
Lo ha detto il presidente Bashar Al-Assad nel corso dell'incontro con Ali Shamkhani, segretario generale del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale della Repubblica islamica dell'Iran e la delegazione che lo accompagna.
Il presidente ha affermato che: "Affrontare la mentalità takfirista estremista diffusa dai terroristi e alimentata da alcuni Stati regionali non è meno importante della lotta contro quei terroristi che seminano uccisioni e desolazione e distruggono il patrimonio storico e culturale dei popoli ovunque si trovino"
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